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Ecco un'intervista a Iginio Straffi:
"Dopo le Winx conquisto gli Usa con i gladiatori dell'antica Roma"
L'imprenditore e regista Iginio Straffi realizza il suo primo film d'animazione in 3D per il cinema. Costato 35 milioni di euro, quattro anni di lavoro per 500 animatori, uscirà nelle sale il 18 ottobre. "Ho voluto fare un film che piacesse ai bambini senza annoiare i loro genitori" di ARIANNA FINOS
ROMA - Gladiatori italiani alla conquista dell'America. In tempi di crisi c'è chi resiste e rilancia: il 47enne marchigiano Iginio Straffi, disegnatore, regista e patron della Rainbow CGI, sfida le major dell'animazione con Gladiatori di Roma 3D, kolossal da 35 milioni di euro, che con il marketing arriveranno a 50: quattro anni di lavoro 500 animatori e programmatori, 2400 camere stereoscopiche. Dopo l'uscita italiana, il 18 ottobre (con Medusa) il film sarà lanciato negli Stati Uniti, distribuito da Paramount. Il papà delle Winx, le fatine modaiole, per il primo film nato per il cinema ha attinto alla cultura dell'antica Roma. Al centro della storia Timo (doppiato da Luca Argentero) orfano scampato all'eruzione di Pompei, allevato dal generale Chirone nell'Accademia di Gladiatori di Roma. Il ragazzo ha tutt'altro che una vocazione bellicosa, ma per amore della sua amica d'infanzia Lucilla (Laura Chiatti), figlia di Chirone, decide di diventare il migliore combattente. Dopo i primi fallimenti, in suo soccorso arriva Diana, una sorta di amazzone (con la voce di Belen) che lo sottopone ad allenamenti durissimi quanto stravaganti. Sullo sfondo, un traballante Colosseo in perenne costruzione. Dice Straffi: "L'ambizione è di fare un film che piaccia ai bambini e non annoi i genitori, più Shrek che Alla ricerca di Nemo".
I gladiatori del film sono tutt'altro che aggressivi. "I gladiatori sono figure che appartengono alla nostra cultura, ma sono anche metafora del presente. Combattevano come gli idoli del calcio, firmavano oggetti. Si prestavano a un racconto moderno pure se ambientato nell'antichità. Non ci interessavano gli incontri all'ultimo sangue, ma invece tecniche di combattimento spettacolari e il look, come nel wrestler. Ma il nostro Timo non combatte per la fama o per i soldi, solo per l'amore della sua compagna d'infanzia".
L'altro messaggio del film è sul doping. "Sì. Anche alla luce di ciò che alle ultime olimpiadi ci ha toccato da vicino, mi piacerebbe pensare che i ragazzini vedendo questo film capissero che le scorciatoie nello sport non portano da nessuna parte. Che i risultati sono frutto del sudore, non della furbizia".
Il personaggio di Diana, doppiato da Belen, è molto procace. "È quello più gradito dal pubblico ai test: punteggi da protagonista. È una sorta di Lara Croft, una donna guerriera e ironica. Anche i baby gladiatori sono piaciuti moltissimo ai bambini, forse ne faremo uno spin off televisivo".
Avete dovuto adattare il film al pubblico americano? "Sì. Dopo i test con le famiglie abbiamo dovuto tagliare tutte le scene con un gladiatore che si scopriva parrucchiere. E una fan del cattivo Cassio, perché poteva essere offensiva per le donne. Il paese della libertà è terribilmente prigioniero degli schemi mentali. Ovviamente nel film non c'è niente di tutto questo, anzi. Non è usuale vedere due donne che invece di combattere per lo stesso uomo si aiutano l'un l'altra".
Gladiatori di Roma è una produzione molto costosa. "Sì. Con la Rainbow in vent'anni abbiamo costruito un modello di successo per la tv. Da sette anni stiamo lavorando per provare a fare qualcosa di importante per il cinema. Con i film sulle Winx andavamo sul sicuro, stavolta partiamo da zero, con personaggi nuovi. Il rischio è pari all'ambizione. Ma abbiamo già prevenduto in 30 Paesi, Stati Uniti, America Latina, Asia. E contiamo di vendere in altri PPaesi, se l'Italia non fa scherzi. Se facciamo fiasco a casa nostra magari qualcuno comincia a prendere le distanze".
Non si sente sostenuto in Italia? "Diciamo che i francesi e gli inglesi sono molto più attenti a sostenere i loro prodotti di quanto non facciamo noi. Ho paura della nostra esterofilia. Anche se le prevendite ci dicono che la qualità del film è paragonabile a quella delle major, sul fattore casa non ci conto troppo. Troppo spesso leggo che vengono esaltati altri cartoni per cose che sono nelle Winx da dieci anni: la forza al femminile, l'amicizia, la lealtà. In Francia ci hanno premiato, anche se a malincuore. Ma ancora c'è chi scrive che le Winx regalano l'immagine di donna che pensa solo a truccarsi e vestirsi. Mi ha scritto una signora dall'America per ringraziarmi perché la figlia finalmente a scuola ha anche lei le sue eroine da contrapporre ai modelli maschili dell'Uomo Ragno, Batman, Thor".
Le Winx sono anche una grande catena di merchandising. "Dalle licenze sugli oggetti arriva parte dei ricavi. Ma il nostro prodotto è l'animazione, la storia. Con la crisi abbiamo avuto problemi con alcune aziende, perso mercati come Grecia e Spagna. In Germania c'è la grande competizione di cartoni prodotti dalle catene di giocattoli e offerti a costo zero alle tv: sono solo degli spot, ma a chi deve riempire i palinsesti interessa poco dei bambini. Nella quinta serie Winx noi partiamo dal disastro ambientale di New Orleans e raccontiamo di un mare inquinato che intossica gli abitanti degli abissi trasformandoli in creature malvagie che minacciano la terra".
(Da La Repubblica)
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